Mia madre diceva sempre che Chopin si pronunciava Chhhopin, perché il cognome, diceva, era polacco. Questo mi fa pensare a François, un francese ultraottantenne, signorile alto e bello, che incontravo sempre a un bar del quartiere Prati, a due passi da ***, quando scendevo dall’ufficio di una società di cui ero consulente.
François era alcolizzato. Uscivo sul far della sera – era primavera, gli oleandri erano in fiore – e fatte poche centinaia di metri me lo trovavo seduto sempre a quel piccolo bar.
Beveva solo o in compagnia di una tedesca della stessa età, con i capelli composti e gli occhiali, anche lei alcolizzata.
Ora François, la pelle chiarissima e gli occhi azzurri, era un tipo straordinario. Ex giornalista di Paris Match aveva conosciuto il jet set parigino al tempo di Yves Montand, Jean-Paul Belmondo e Brigitte Bardot. Insomma la dolce vita francese degli anni ’50 ’60.
Il padre di François era americano. Mi sedevo accanto lui e parlavamo in francese. Quando c’era la tedesca (colta e simpatica come lui, ma un po’ gelosa di me) parlavamo in inglese.
Mi sedevo e bevevo vino rosso con François. La tedesca preferiva il gin. La salute di François peggiorava ma l’anno dopo c’era ancora. Tra me e il francese era nata un’amicizia sincera.
La moglie, una scrittrice russa, lo chiamava al telefono quando gli ultimi tempi lo portavo al mare e ci sedevamo sulla spiaggia a mangiare spaghetti alle vongole e vino bianco ghiacciato.
Lui le rispondeva:
“Dove sono? Sono qui al mare con Giovanni, a ‘ faire et refaire le monde’ ”.
Gli parlo una volta per caso di Chopin, il cui cognome credevo fosse polacco. Mi dice con autoironia:
“E’ un cognome francese”
“Non è possibile, è polacco!”
Il giorno dopo lo rivedo con un grosso pacco. Dopo un bicchiere di vino rosso gli chiedo:
“Dov’è la tedesca simpatica che amava Carducci?”
“Chi lo sa se torna”
Detto con indifferenza ma François non era mai indifferente.
Scarta il pacco. Era un mastodontico dizionario Larousse. Lo apre e mi legge con orgoglio quasi infantile:
“Chopin era figlio di padre francese e di madre polacca”.
L’autoironia di François era fantastica, viveva l’orgoglio francese ma ci rideva su, non è facile da spiegare. Ci siamo quasi piegati sotto il tavolo dalle risate. Una delle serate indimenticabili della mia vita.
Un anno dopo – François non sedeva più al bar da tempo – incrociai la moglie non lontano dal tavolino dove avevamo passato quei bei momenti insieme.
Gli occhi della donna, intelligenti, profondi, mi comunicarono in un lampo verde un intensissimo, muto dolore.
Quando penso agli anni 60, la prima cosa che mi viene in mente è questo splendido film: https://wwayne.wordpress.com/2013/11/21/guardatelo-2/. Lo conosci?
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L’ha ribloggato su The Notebook.
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