Mostaccioli al cioccolato fondente e bianco. Immagine tratta dal blog IlaRità (di Ilaria, 17 anni, e di Rita, la madre, di Benevento) collegato a Giallo Zafferano. Cliccare sulla foto per il post e la ricetta di Ilaria e Rita
In queste feste, assieme al tradizionale Pandoro Bauli (io preferirei il panettone, e vabbè) e alla torta di mele fatta in casa (mia figlia Carolina ne va pazza) si sono aggiunti i Mostaccioli coperti di cioccolato fondente e bianco “alla molisana” (pare che questi squisiti dolci a forma di rombo siano diffusi con “varianti locali” in tutto il Sud) e preparati dalla madre di un amico di Antonio.
Accanto vi era anche il meraviglioso Parrozzo (vedi la ricetta alla molisana), ricoperto questa volta di cioccolato al latte e non fondente ed eseguito impeccabilmente dalla sorella di Antonio, Angela, che lavora in una banca inglese ma che è tornata in Molise per il Natale.
Immagine del parrozzo presa da Berta filava | ventisei barrato, altro bel blog da seguire. L’autrice è Caterina, che, lei ci dice, vuol dire pura, kathara. Cliccare sull’immagine per raggiungere il suo post
sta entrando a poco a poco (ma già c’era)
Nella nostra famiglia dunque, con la piccola Sofia di 4 mesi che unisce il sangue, il Molise sta entrando anche con la gola, a poco a poco (Carolina ed io abbiamo il sweet tooth, adoriamo cioè i dolci).
In realtà il Molise vi era già entrato alla grande negli anni ’70 con Giuseppe De Santis, il mio mentore di Montenero di Bisaccia (vedi anche qui), dove è nato pure Antonio Di Pietro.
Ma, quello è un Molise volto all’Adriatico, in provincia di Campobasso, completamente diverso, che nel Rinascimento vide la migrazione degli albanesi che fuggivano i Turchi e l’islamizzazione.
Ψ
Il Molise di mio genero è invece un Molise montano in provincia di Isernia, è il glorioso Sannio (cfr. questo bel sito di risorse; i Sanniti erano l’unico popolo che poteva sconfiggere Roma, secondo Theodor Mommsen e altri studiosi), poi, dopo la fine dell’Impero Romano, conquistato dai Longobardi (ducato di Benevento; la famiglia di Antonio ha occhi verdi o azzurri, pelle bianchissima, capelli biondi: chissà se è per questo) di cui necessariamente riparleremo per motivi familiari e anche legati agli interessi di The Notebook.
—
Risorse iniziali.
Sto muovendo i primi passi per il Molise. Mio genero mi consiglia il sito di Franco Valente, di Venafro, “uno dei massimo esperti del Molise, – dice – se non il più grande”.
Sanniti, archeologia dell’antico Sannio (con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Soprintendenza per i Beni Archeologici del Molise)
Scrivevo nel post (H)omo de Roma: “Ammettiamolo. In aree centrali e soprattutto meridionali del nostro paese persistono abitudini, mentalità […] i cui svantaggi nei confronti della modernità sono evidenti. Sono solo svantaggi?”.
Il disastro è annunciato: i Campi Flegrei con la loro grande caldera (un vulcano, in sostanza) si sollevano, l’eruzione del Vesuvio (un altro vulcano) potrebbe colpire da un momento all’altro, i vulcanologi di tutto il mondo nonché la protezione civile campana (cfr. Cities on Volcanoes 10 tenutosi il 2-7 settembre 2018 a Napoli) parlano della NECESSITA’ ASSOLUTA di costruire meglio e soprattutto fare tante esercitazioni in vista di un esodo (per i paesi vesuviani e flegrei) calcolabile in ben 700.000 persone (50% della popolazione!).
Eruzione del Vesuvio del 1872, con distruzione dei paesi di Massa e San Sebastiano al Vesuvio. Giorgio Sommer – Scansione personale, Pubblico dominio. Wikimedia, click on picture for credits. https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=737284
Una domanda percorre il pianeta
Bene, cosa fanno i raffinati (e dei romani più intelligenti ) napoletani??
Visi e volti, nell’Italia e nel mondo, si scrutano preoccupati e s’interrogano:
Che diavolo fanno i Napoletani???
Le risposte dei partenopei, spesso bisbigliate nei bar e pub romani, giungono in ordine sparso:
“E c'amma fa' ..." "E' esercitazioni portane male!" "A cche serve u pparlà? E' già tutto scritte! (1)”
Nota 1. A parte il corno, che così rosso secondo molti studiosi è il membro eretto del dio Priapo (lo si accarezza per fortuna, forza, fecondità), “è già tutto scritto” lo si dice spesso. E in effetti a volte pensiamo:
“Se la mia amica non mi avesse telefonato non sarei andata/o in quel bar; non avrei conosciuto il ragazzo (o la ragazza) con cui poi mi sono sposata/o; non avrei generato figli e nipoti i quali a loro volta non genereranno ecc. Eppoi se la mia amica non mi chiamava magari era perché era indisposta: per condizioni atmosferiche sfavorevoli (o astrali, vai a capire) che avrebbero potuto farla ammalare e impedirgli di fare appunto la “fatidica” telefonata di invito”.
Fatidico deriva dal latino fatum (da fari=dire). Il Fato infatti è “ciò che è detto e che non può essere mutato”, il più delle volte nemmeno dagli dei.
Ecco le radici culturali nostre (vedi sotto nota 2), le “permanenze dell’antichità” nei nostri cervelli! Ecco il senso di quel “è già tutto scritto”.
Vediamo meglio.
Romani e Greci essendo collegati, le Moire erano le dee greche del destino o fato, che i Romani chiamavano Parcae o Fata, appunto. Le parche greche per Esiodo erano 3 (per Omero una) tra cui Κλωθώ o Cloto (=la filatrice). Essa è particolarmente significativa per il nostro discorso in quanto gestiva i fili, cioè l’intrecciarsi delle cause che collegano tutto, i mille fili dunque con cui si crea la trama che ci condiziona e si connette (ed è connessa) all’intero universo.
Riporto invece Marco Aurelio, imperatore romano e filosofo stoico (neoplatonici e stoici avevano una visione simile del fato; Epicuro no: non c’è destino né fine nell’universo, che è aggregato pazzesco di atomi) che in greco scrisse delle meravigliose meditazioni (bestseller oggi!) – testo greco: Τὰεἰς ἑαυτόν;testo italiano:
III, 6. “Il destino dato a ognuno è trascinato nel movimento globale e a sua volta trascina”. IV, 4. “Qualcosa ti è accaduto? Bene: tutto ciò che ti accade fin dall’inizio era stato ordito, in tutto l’universo, per esserti dato e allacciato alla tua vita”. IV, 34. “Abbandonati spontaneamente a Cloto, lasciando che ti tessa con qualsiasi evento voglia”.
Più chiaro di così.
ψ
Giorgio: “E le altre due Moire o Parche?”
MoR: “Lachesi, che decide la sorte di ognuno. E Atropo, terribile, che taglia il filo della nostra vita quando le pare e piace”.
Retro del Tempio di Saturno, nel Foro Romano. Nel tempio avveniva il rito e poi il banchetto ufficiale d’inizio dei Saturnalia. Cliccare per l’attribuzione
I Saturnali al tempo di Nerone. Roma, 17 dicembre, 62 d.C. Nerone è a capo dell’impero romano. Il filosofo Lucio Anneo Seneca scrive una lettera (n. 18) all’amico Lucilio:
December est mensis
(E’ il mese di dicembre) cum maxime civitas sudat.
(quando la vita è più intensa che mai in città.) Ius luxuriae publice datum est;
(Il diritto all’eccesso è stato ufficialmente proclamato;) ingenti apparatu sonant omnia […]
(ogni angolo risuona dei chiassosi preparativi […])
L’inizio della festa più amata a Roma e nel resto dell’impero, i Saturnalia, è stato ufficialmente proclamato. L’eccitazione cresce ovunque.
Il filosofo, tranquillamente seduto nel suo elegante tablinum, riflette su ciò che lui e il suo amico debbono fare, se cioè partecipare o meno alla gioia dei banchetti. Egli sembra propendere per una via di mezzo o giusto mezzo (aurea mediocritas, non dispregiativo in latino).
Si te hic haberetur,
(Se ti avessi qui) libenter tecum conferrem quid estimare esse faciendum […]
(sarei felice di consultarti su ciò che sia opportuno fare […]) utrum nihil ex cotidiana consuetudine movendum,
(se lasciare immutate le nostre quotidiane abitudini,) an, ne dissidere videremur cum publicis moribus,
(o, per non sembrare fuori sintonia con i costumi della gente,) et hilarius cenandum et exuendam togam
(se anche noi dobbiamo banchettare allegramente e toglierci la toga)
Banchetto a Pompei. Wikimedia commons
Modalità del rito. Il sacrificio ufficiale – che si celebra nel tempio di Saturno, sul lato occidentale del foro – è probabilmente terminato. Sarà seguito a breve da un banchetto nello stesso tempio durante il quale i partecipanti grideranno il saluto augurale: Io Saturnalia! (che ricorda i nostri brindisi di Capodanno) e dove la celebrazione presto si trasformerà in una festa accesa e caotica.
Banchetti nelle case e doni.L’euforia pervade la città. I banchetti nelle abitazioni private saranno sregolati, come succede ogni anno. Ci si appresta agli ultimi ritocchi a piatti elaborati, biscotti, doni, alla disposizione di candele (cerei) che simboleggiano la rinascita del sole; si preparano pupazzi di pasta (sigillaria) e si finisce di organizzare spettacoli, danze e musiche, tra cui una scelta di canti non di rado scurrili ed altri di tono più elevato, spirituale.
Banchetto romano. Quadro di Joseph Coomans, 1876. Opera di pubblico dominio (dalla Wikimedia commons)
Brevi testi, proprio come i bigliettini dei nostri regali, accompagnano i doni. Il poeta Marco Valerio Marziale, che ne ha composti diversi nei suoi epigrammi, ci dà informazioni sul tipo di regali scambiati:
Tavolette per scrivere, dadi, aliossi [un gioco con ossicini ormai in disuso, ndr], salvadanai, pettini, stuzzicadenti, cappelli, coltelli da caccia, scuri, lampade di vario genere, biglie, profumi, pipe, maiali, salsicce, pappagalli, tavoli, tazze, cucchiai, capi di abbigliamento, statue, maschere, libri, animali domestici.
[Marziale, Epigrammi, libri XIII e XIV; elenco tratto dalla Wikipedia inglese]
Ψ
Licenza degli schiavi, vesti e formulazione di desideri. Agli schiavi sarà permesso ogni tipo di licenza. Un maestro della festa, o ‘re del disordine’, impersonerà il gioviale Saturno con la barba che, scelto a sorte nelle case, orchestrerà il divertimento (personaggio simile al nostro Babbo Natale).
[Un “Lord of Misrule” è figura comune del Natale britannico nel medioevo, con ruolo quasi identico, così come il “Pape des Sots” o “des Fous” in Francia]
Gli schiavi dei Saturnali romani erano “autorizzati a trattare i loro padroni come fossero loro pari. Spesso infatti padroni e schiavi si scambiavano i ruoli e questi ultimi venivano serviti dai primi […] Un ‘re’ scelto a sorte ordinava a un ‘suddito’ di ballare, a un altro di cantare, a un altro ancora di portare sulle spalle una flautista e così via. Con tale gioco i romani ridicolizzavano la regalità”.
Il greco-assiro Luciano di Samosata scrive nei suoi Saturnalia (un dialogo satirico del II secolo d.C. che si svolge tra Kronos–Saturno e il suo sacerdote):
“Durante la mia settimana [è Crono che parla, ndr] la serietà è bandita; ogni commercio e attività sono proibite. Il bere, il chiasso, i giochi e i dadi, la scelta dei re e la gioia degli schiavi che cantano nudi, il battito frenetico delle mani e i visi con la bocca tappata che vengono tuffati nell’acqua gelida: sono queste le funzioni a cui presiedo […] questo il periodo di festa, quando è lecito ubriacarsi e gli schiavi hanno licenza di insultare i loro padroni”.
Bassorilievo romano del II secolo d.C. raffigurante Saturno con in mano una falce (foto di Jean-Pol GRANDMONT, CC BY 3.0)
Come alla vigilia del moderno Capodanno, è il momento di esprimere i desideri per l’anno a venire. Dice Crono al suo sacerdote:
Crono: “Volgi il pensiero a ciò che mi vuoi chiedere […] farò del mio meglio per non deluderti”.
Sacerdote: “Nessuna originalità in proposito. Le solite cose, per favore: ricchezza, abbondanza d’oro, proprietà di terre, folle di servi, gaie e morbide vesti, argento, avorio, in realtà tutto ciò che è di un qualche valore. O migliore dei Croni, dammi un po’ di queste cose!”.
Eguaglianza sociale.
Il bonnet rouge dei sanculotti
Come si vestiva la gente? In modi che suggerivano l’uguaglianza sociale. Seneca aveva infatti accennato al fatto di togliersi la toga, indumento solenne e d’alto ceto. Le gente ai banchetti indossava infatti la synthesis, un semplice vestito da cena, e il pileus, il berretto conico dei liberti, un cappello di feltro aderente simile al cappello frigio che non a caso in epoche successive diverrà l’icona della libertà nelle rivoluzioni francese e americana (il bonnet rouge dei sanculotti).
I Sansculottes, figura iconica della rivoluzione francese, indossavano i berretti della libertà tipici degli ex schiavi e indossati durante i Saturnalia per sottolineare l’uguaglianza sociale
Intellettuali in conflitto. Di fronte a tanta frenesia lo stoico Seneca propende per la via intermedia, dicevamo (notate l’accenno alla folla ‘pilleata’, che indossa cioè i ‘pilei’):
Si te bene novi,
(Se ben ti conosco) nec per omnia nos similes esse pilleatae turbae voluisses
(avresti desiderato che non fossimo né simili alla folla imberrettata) nec per omnia dissimiles;
(né del tutto dissimili;) licet enim sine luxuria agere festum diem
(è opportuno infatti partecipare alla festa senza eccessi.)
E’ comprensibile. L’intellettuale tende a comportarsi diversamente dall’uomo della strada, ed è spesso (ma non sempre) infastidito e un po’ blasé di fronte al trambusto della gente comune [Mary Beard].
Durante le feste di dicembre che si svolgono a casa sua “Plinio il giovane – scrive sempre Mary Beard in un articolo sul Times non più raggiungibile – si rifugia altezzosamente nell’attico per continuare a lavorare (non vuole rovinare il divertimento degli schiavi – ma, forse ancor più, non vuole esporsi ai loro giochi ruvidi)”.
Il poeta Catullo a casa dell’amata Lesbia. Sir Laurence Alma Tadema, 1865. Pubblico dominio
“Quanti anni ancora durerà questa festa! Mai il tempo cancellerà un così santo giorno! Finché esisteranno le colline del Lazio e il padre Tevere, finché la tua Roma rimarrà in piedi, e il Campidoglio, che hai restituito al mondo, i Saturnalia vivranno”.
Addobbi natalizi della Galleria Colonna, sul Corso.
Ieri, domenica pomeriggio, mia moglie mi ha trascinato per la via del Corso (e vie limitrofe), a Roma, in mezzo alla bolgia: da un negozio all’altro, da un tessuto a una sciarpa a una scarpa stivaletto all’altra, con la folla vociante che non ti dava tregua (mi sono messo però i tappi di silicone, è la mia arma segreta quando voglio “staccare”).
E via ancora da un cappello a ciuffone a ciuffetto ai maglioni e i loro colori [“il blu cielo, o ad Antonio (il mio genero il sannita, uomo in gamba, tosto) piacerebbe di più un bordeaux? No, dai, un carminio. Oppure scegliamo tra il blu acciaio e il blu elettrico?”).
Ora io, daltonico, assentivo o negavo, a caso.
L’orticaria
Devi poi sapere, carissima livornese (questo post è un commento scritto per Vitty, che mi ha fatto l’onore di mettermi sul suo albero di Natale: sono cioè una palla 😂), che quando avevo dai 3 ai 6-7 anni mia mamma mi portava nelle zone centrali di via del Corso, via della Vite, via del Gambero, via Condotti ecc. e giocava a vestire il suo bambolotto, cioè il sottoscritto: mi mette il giacchetto 1, toglie il giacchetto 1, mi mette quello 2, no, il 3 è meglio. I pantaloncini corti 1? Nah, meglio i 2. O forse i 3: sì, direi questi!
Via del Corso, in piena frenesia natalizia. In fondo il monumento a Vittorio Emanuele II, in piazza Venezia
Ora io è naturale sfastidiavo e da allora quando mi avvicino a quelle peraltro bellissime strade mi viene l’orticaria (il Corso dal tempo dell’Impero Romano e fino al Rinascimento si chiamava via Lata, e lì i papi avendo deciso di farci le corse dei cavalli per il Carnevale romano (fortemente ispirato ai Saturnalia, leggi qui), si chiamò da allora via del Corso, forse per questo: ci sono tutte le case patrizie (i nobili si affacciavo alle finestre e ai balconi), e come è noto gli stranieri che facevano il Gran Tour soprattutto in Italia (intellettuali e aristocratici) per attingere alle origini della loro cultura, ci abitavano, al Corso, come Goethe).
Via del Corso (via Lata), Roma, di giorno e in un giorno normale. Creative Commons Attribuzione 2.0 (CC-BY-2.0). Click for credits
Preso pertanto dall’orticaria, dai colori che non distinguo (e dai tappi che non sbarrano più niente) dico a mia moglie:
“Beh, mo’ basta, me ne vado!!!"
Il mio tono, disperato, è imperioso. Lei si irrita, vuole che goda delle differenze tra il blu acciaio e il blu elettrico (e che io partecipi alla festa dell’amore del dono, come dici tu, Vitty, donna dal cuore grande toscano, ma io sono pessimo, al di là d’ogni redenzione 👿 , forse perché – non cerco scuse – figlio di un padre calvinista che ricevette UN SOLO regalo in tutta la sua infanzia e adolescenza, una pistola, che il padre rovinò per sbaglio SMONTANDOLA: così finì, inutilizzato, il suo UNICO REGALO!!).
“Vado!!!” dico di nuovo.
Vado sentedomi terribilmente egoista. Dici, Vitty:
"Il valore del regalo non è legato al prezzo, ma al suo significato"; bisogna "immedesimarsi nell’altro e renderlo felice!"
Ricerca della pace
Vago allora per il Campo Marzio e cerco un bar dove sedermi in pace a leggere colpevolmente il Messaggero.
Niente.
Tutti i bar e i locali che conoscevo non esistono più.
Pizza al taglio Da Pasquale, a via dei Prefetti 34/a. Cliccare sulla foto per i credits
Lo spazio è ristretto, solo un tavolo in legno, pezzi intagliati da un albero, con panche da entrambi i lati lunghi. Alla destra di dove siedo con le spalle al muro c’è il banco con le pizze esposte dietro un vetro, e un ragazzo che le serve e sta alla cassa. Dietro ancora, vicino ai forni, in una stanza a parte ma semicomunicante con il locale, c’è il pizzaiolo panciuto e gioviale con accanto una donna più giovane, forse la figlia.
La roma vera
Dico al pizzaiolo:
“Non ce la facevo più! Mi’ moje a fa’ la spola da un negozio all’altro!! Non ce se po' créde”
“Non me lo dica! – ribatte lui mentre inforna – Mia moglie ieri m’ha fatto gira' la testa, so’ tutte uguale!”
“I soliti insensibili, voi uomini” – dice la ragazza sfornando la pizza rossa fumante; ma sorride, la disputa la diverte assai.
Mi giro intorno e noto i miei compagni di tavolo: una bella famiglia romana, due genitori e i figli ventenni.
“Noi qui alla pizzeria veniamo sempre”. “Perché, dove abitate?” “Molto lontano, ma la pizzeria a via dei Prefetti parla da sola”. Arriva la pizza coi pomodorini: mai sentita una così buona, in effetti.
Allora mi accorgo che al di là dei franchising che hanno sostituito quasi tutti gli stupendi negozi storici e hanno snaturato il centro della città c’è ancora una Roma vera, di una volta, che non può morire perché è eterna.
E anche sa rinnovarsi. Ascoltate.
La vichinga con la moto
Immagine presa da Pinterest. Cliccare su di essa per i credits
Si siede di fronte a me una donna molo alta e bionda, occhi pallidi, sguardo nebbioso. “Di dove è?” le chiedo. “Sono tedesca, di Heidelberg. “Wow, tedesca!” le rispondo nel mio tedesco rozzo. “E’ qui per le vacanze con la famiglia?” “No, mio marito è rimasto a casa a lavorare e io giro l’Italia in motocicletta. In genere nelle Alpi liguri e piemontesi, ma per il Natale ho scelto Roma. E’ la prima volta nella città eterna: veramente bella.”
Alla mia sinistra la moglie romana apostrofa, in tedesco impeccabile, Brigitte (così si chiama la biondona) :
“Ho studiato lingue, come mia figlia qui”. Poi si rivolge a me: “Li vedi, sempre co ‘sti cellulari, se li semo perduti”.
Il padre – che parla solo l’italiano e il romano, ma capisce l’inglese – entra nella conversazione, a cui partecipano la tedesca, e i figli. “Ordino il vino per tutti!” dice. Beh, penso, volevo leggere il Messaggero per rilassarmi, ma qui, altro che ‘l Messaggero! …
Beviamo, a tutti si scioglie la lingua, Brigitte è più ciarliera, ride e viene fuori che in realtà è di origine norvegese, che cioè è norse, vichinga. Ha un figlio che è altissimo rispetto a lei. Come è possibile? dice il padre. Quindi è tre metri, dico io. Risate, scambi, occhiate calorose.
ψ
Ora il mio cuore è caldo. Ho ritrovato Roma, i romani (e gli stranieri del Gran Tour). Tutto si compone, arriva mia moglie, parla in tedesco meglio di me con Brigitte, saluta i romani. Usciamo.
Il padre, che era uscito fuori a parlare con amici, mi stringe la mano. “E’ stato un piacere”. “Anche mio – rispondo – veramente”.
ψ
Fuori fa caldo. Torniamo nella bolgia ma per poco. Per vie secondarie camminiamo verso casa, la mano nella mano.
Cerchiamo di capire come i Saturnalia (la festa più popolare della Roma antica e la più diffusa in tutto l’Impero Romano) possano essere sopravvissuti fino a noi.
Ψ
Saturno e l’età dell’oro. I Saturnalia, o Saturnali in italiano, erano dedicati a Saturno, dio romano dell’agricoltura e divinità assai antica secondo le fonti. Saturno aveva (ed ha) il proprio tempio ai piedi del Campidoglio, nel Foro Romano. L’edificio ospitava una statua del dio con una falce in mano. La statua, di legno e successivamente d’avorio, i cui piedi erano incatenati con fili e trecce di lana, veniva slegata soltanto durante i Saturnali, cioè dal 17 dicembre in poi. Il tempio venne ricostruito tre volte e le otto colonne che vediamo oggi nel foro sono ciò che rimane dell’ultimo rifacimento.
Retro del Tempio del dio Saturno, nel foro romano. Cliccare sulla foto per i credits
Si diffonde, la Sinfonia fantastica di Berlioz, nel salone di nostra figlia e di suo marito, il sannita. La pupetta si calma, il suo sguardo si fa complesso. E la chitarra arricchisce tutto, con la sua cassa armonica …
Eccoci qua in Olanda a fare i nonni sitter, come ha detto giustamente il mio amico Alvaro, d’Arezzo. Perché in effetti non si capisce se siamo noi a fare i babysitter della minuscola Sofia (3 mesi e mezzo precisi) o è lei a fare la babysitter dei nonni.
Torniamo alla serata già precedentemente descritta. Giorgio e io siamo seduti su poltrone cicciotte a casa sua, in via Labicana. La Sambuca di Sarandrea accompagna un piattino di dolci napoletani che la moglie di Giorgio, Caterina, ama acquistare al 081 Caffè, via Merulana 83 (non solo bar ma pasticceria e altri prodotti napoletani).
Le ballate di Chopin si diffondono sognanti, come le nostre divagazioni, le nostre fantasie …
Meravigliosa interpretazione
Giorgio, sambuca alla mano, prova a mettermi alle corde.
Giorgio. OK, su The Notebook appunti idee ricordi e riflessioni. Perché allora parli di pensiero dialettico? Sembra di tornare agli incubi della scuola …
Giovanni. Vuol dire che in un blog come il mio il pensiero si sviluppa anche come un dialogo (che, come metodo d’indagine fu concepito nella Magna Grecia e poi perfezionato da Socrate e Platone 2400 anni fa su su fino ai neoplatonici, al Medioevo e oltre).
Ψ
Giorgio.Mmhmm … gli struffoli aromatizzati alla sambuca (più la sambuca) sono un capolavoro. Perché mangiarli solo a Natale? Scusa, ti ho interrotto.
Giovanni. Per me i dialoghi sono a tre livelli:
dialogo nella mente
dialogo tra la mente di chi scrive e quella degli scrittori che uno considera validi e che possono allargare le vedute
dialogo diretto con i lettori, oltre che con amici e persone conosciute nella vita reale …]
1) Innanzitutto c’è il dialogo all’interno della mente di chi scrive. Cerco, contrappongo idee che ho, spunti, posizioni. Un simile dialogo esiste sempre nella mente di tutti, ancor più di chi fa una ricerca e prende note, appunti.
Personalmente passo qui da un’idea all’altra e dunque da un post all’altro, con contraddizioni che lavorano in testa ecc. Si possono così superare le posizioni precedenti verso una maggiore chiarezza ( cfr. la Weltanschaung dell’epistemologia tedesca ecc.r)
Giorgio: Ma dai! Bisogna uscire dai confini della nostra mente, che da sola, dove vuoi che ti porti.
Giovanni. E infatti ecco il punto secondo:
2)Il dialogo tra chi scrive e gli autori, passati o viventi
Il Simposio (casereccio)
Musica e conversazione (cratere con scena simposio o banchetto, 390-380 a.C). Museo archeologico del territorio di Populonia, Piombino. Cliccare per ingrandire e per i credits
Giorgio. Per autori esterni intendi i libri o degli intellettuali in carne e ossa con cui ti confronti?
Giovanni.Mi riferisco soprattutto ai libri. Non sono un intellettuale conosciuto, non posso intrattenere a casa mia un simposio di menti illuminate. A volte è successo, serate memorabili, ma non spesso. Quindi mi riferisco soprattutto ai buoni libri in generale e ai classici in particolare.
Bisogna elevarsi sopra la superficialità del mondo presente per dare più spessore e senso alle nostre giornate. Le buone letture permettono di farlo in un modo che è alla portata di tutti. Possiamo con poco costo avere biblioteche che un tempo solo i principi potevano permettersi.
Giorgio. Beh, solo la stanza del tuo studio ne ha 3000.
Giovanni. Il libro fisico è una cosa bellissima, odora, risponde al tatto come una donna [che minchiata, sono un deficiente, ndr). Poi, per le note, gli appunti, è più pratico. Ma il Web e i vari e-readers offrono possibilità immense e a costi ancora minori. Il mio Kindle contiene da solo ben 1500 volumi (!), in gran parte classici in varie lingue che, essendo promossi da istituti di cultura nazionali, sono spesso gratuiti.
Giorgio. Mi sembra però una cosa libresca, da topo di biblioteca. È questo che proponi ai giovani? Ammuffirsi circondati da libri reali o virtuali invece di tuffarsi nella vita?
Niccolò Machiavelli (pubblico dominio). Si vestiva bene, entrava nella sua biblioteca e “parlava” con i classici. Loro “gli rispondevano” 😱
La rinascenza dei topi
Giovanni. Pensa all’invenzione della stampa a caratteri mobili: i libri prima erano copiati a mano. In soli 50 anni furono stampati 30.000 titoli nuovi, con una tiratura di 12 milioni di copie e oltre: che impulso alla cultura, alla diffusione dell’alfabetizzazione e della conoscenza!
Certo, i libri comportano dei pericoli, come ogni cosa. Se sono una fuga dalla realtà non va bene.
Bisogna ispirarsi agli uomini dell’Umanesimo e del Rinascimento italiani. Quella del “dialogo con i classici” divenne una pratica fruttuosa degli umanisti italiani e poi del Rinascimento. Petrarca scriveva addirittura lettere a Cicerone e a Livio!!
Niccolò Machiavelli, dopo una giornata di lavoro, si toglieva i vestiti impolverati, si rassettava e chiusosi nella sua biblioteca entrava in dialogo con i classici. Poneva loro domande su le tante cose della vita, e loro rispondevano. Non si trattava di una cosa libresca bensì di qualcosa che ispirava in merito ai problemi reali.
*Sullo stereo già risuona ‘Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno’ di Philippe Verdelot, che venne a Firenze negli anni 152* e conobbe e collaborò con Machiavelli*
*Giorgio sgrana gli occhi, vuole obiettare, ma la sambuca fa sciolgliere il pensiero in una dolcezza appannata*
Ψ
Giovanni.Si cercava, nel passato, inspirazione per il presente e per il futuro. Vale a dire, l’Umanesimo e il Rinascimento italiani (ma non solo, si pensi ad Erasmo da Rotterdam ecc.), guardando al passato antico greco-romano in realtà preparavano il futuro.
Giorgio, *risvegliandosi di botto*. Ma perché … non vedo il legame, eccheddiamine!!
Giovanni. Ascolta. Il punto è che il pensiero degli antichi greci e romani era libero dalle idee preconcette della teologia, dal controllo inquisitorio della Chiesa: Galileo Galilei costretto all’abiura, Giordano Bruno bruciato sul rogo a Campo de’ Fiori a Roma ecc.).
Perciò, pur essendo filosofia e letteratura antiche “passato”, esse avevano un sapore come d’avanguardia, di rottura – l’apertura al sesso, alla tolleranza di più religioni e idee, il bagaglio filosofico profondo e luminoso a cui la stessa Chiesa si era ispirata (vangelo di Giovanni ecc.).
La visione dalla finestra di Giorgio, anche se un poco più distante
*Giorgio bofonchia, poi sorride (spruzzando con la Sambuca un pezzetto di pastiera). Giovanni fa altrettanto e insieme tornano alla finestra. La visione notturna del Colosseo sulla destra è strepitosa*
Ψ
Giovanni. E’ anche grazie alla riscoperta del mondo antico che l’Europa ha fatto il grande balzo che l’ha portata a dominare il mondo, nel bene o nel male.
Giorgio. Più nel male. Fu un fatto imperialistico, ma ciò che è fatto è fatto. Del resto, quasi tutti i popoli del mondo, trovandosi in condizioni di maggior potere militare su altri, ne hanno approfittato, imperando.
Giovanni. Lasciamo perdere l’imperialismo, ci porterebbe lontano. Qui riassumendo: il dialogo con i classici antichi aiutò l’Europa a progredire: altro che topi di biblioteca!
E i classici oggi?
E il dialogo con i classici è sempre utile anche oggi. I classici greci e latini sono sempre il nocciolo di ciò che siamo come occidentali tutti, sono la nostra identità. Ma è chiaro che altri “classici” sono stati prodotti dopo, e il mondo oggi è più vasto. Ci vogliono dunque anche classici più moderni, testi contemporanei. Libri di valore, però, non modaioli (la voce “classico” del Vocabolario Treccani è fatta bene a mio avviso).
Dialogo con persone viventi
Giorgio. Capisco. Però non c’è un dialogo vero in tempo reale con persone vive? Giovanni: Certo, è il terzo livello.
3) E’ a) il dialogo che ho avuto con il blog Man of Roma e b) con persone conosciute nella vita non virtuale (te, per esempio, altri amici, tra cui degli accademici, ex-colleghi, per non parlare di familiari e conoscenti con cui discuto di tutto. Conosco anche degli intellettuali di successo, che hanno fatto una grande carriera, o dei giornalisti, musicisti.
Infine, dulcis in fundo, i cari lettori di The Notebook, che è una storia in fieri.
Un metodo, in sintesi
Giorgio. Quindi, riassumendo, il tuo blog si basa su una forma personale di dialettica: un dialogo nella tua mente; tra la tua mente e quella degli scrittori e pensatori per te validi e infine di un dialogo diretto con i lettori, oltre che con amici e persone conosciute nella vita reale.
Giovanni. Esattamente. Procedo in questo modo. Non so ancora dove questo porterà, ma questo è il mio sedicente metodo.
Essendo un filosofo della strada (nota 1) non mi basta un blog. Ho bisogno di procedere seguendo un metodo. Si vedrà con il tempo se tutto questo ha un senso.
“Non c’è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l’homo faber dall’homo sapiens. Ogni uomo infine, all’infuori della sua professione esplica una qualche attività intellettuale, è cioè un “filosofo”, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere a modificare una concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare”.
Litigio di condominio. Cliccare sull’immagine per i credits
Tra le crisi che incombono, which loom su di noi (vedi l’umore del precedente post) c’è la più grande di tutte, cioè il clima del pianeta che si surriscalda. Molti dicono: vabbè, conta più se riesco ad arrivare alla fine del mese, oppure se imparo l’inglese, o se mia figlia fa l’Erasums.
Conta più, OK, ma solo nell’immediato immediato. I nostri figli e nipoti che faranno? Ce ne freghiamo?
Ieri Marilù (nick) m’ha detto: “E ce ne freghiamo sì, io ho deciso di non fare figli!!”.
Vabbè, che devo, dire, allargo le braccia.
Ψ
Non so se ce la faremo. Perché molti pensano a sé stessi, persone e Stati (la Polonia presiede la conferenza mondiale sul clima 2018 e lì decide, per interesse nazionale, di puntare sul carbone!!).
Ecco un’improvvisazione musicale (da me eseguita all’inizio degli anni ’90) che sconfessa in qualche modo lo stereotipo che gli Italiani siano sempre felici.
Non lo sono affatto, almeno adesso.
Lo scopo di questa musica era vendere una colonna sonora (che non ho venduto). Non so se il pezzo ha vita indipendente.
Ma certo, pesa (1), lo è.
Ψ
Ero più giovane quando mi divertivo a orchestrare con il mio sintetizzatore Korg 01/W e gli splendidi Protei 1 & 2, e mi mancano terribilmente quei giorni.
Soprattutto mi manca la gioia pura, selvaggia, del suonare un organo infinito dove puoi scegliere migliaia di suoni al momento (reali ma anche immaginari).
Una gioia difficile da descrivere.
Ψ
Non credo nell’improvvisazione (soprattutto di chi come me è carente in contrappunto) anche se stimo chi improvvisa bene, con sapienza. In genere il suonare estemporaneo non porta a molto, fu un mito del ’68. Il passato è un’altra cosa (qui dico il contrario).
Ψ
Tornando all’autunno, e alle nuvole che incombono (sull’Italia e non solo), non suono più il piano o le tastiere.
Ψ
Anche questo è autunnale.
— Nota 1. Peso (toscano) = pesante Nota 2. La musica sopra e molte parti del blog The Notebook sono copyrighted SIAE.
Karl Popper, filosofo e epistemologo austriaco naturalizzato britannico
Giulio Giorello (filosofo, accademico ed epistemologo italiano) ha detto giorni fa su Radio 3: “Platone diceva che i filosofi devono governare la città. Karl Popper, nel suo capolavoro “La società aperta” diceva invece che i filosofi devono consigliare i politici ma non governare”.
“Popper – continua Giorello – nello scrivere il suo capolavoro filosofico politico si era scelto niente meno che tre grandi nemici: Platone Hegel e Marx”.
Ψ
La dialettica è dunque anche scontro, scontro duro. Per cui, anche nel minuscolo, nel minuscolissimo di questo blog, ben vengano gli scontri – sia pur fatti con un minimo di civiltà, ben inteso: finora è sempre stato così (1).
— (1) Come per es. è avvenuto *qui* con KEYOFEYE 🙂