Quando si è giovanissimi e ci si imbatte per strada in una ragazza che è il nostro tipo, se ne rimane come folgorati e il dolore è tanto più acuto quanto più difficile (o impossibile) è la soddisfazione del nostro desiderio, assoluto e lancinante.
Un brano di Jack Kerouac rende bene questa vitalità disperata tipica della primissima gioventù (da On the road, Sulla Strada, che sfogliavo anni fa, la traduzione è mia; mi sembra di ricordare che anche J. D. Salinger abbia scritto qualcosa di simile):
"Avevo comprato un biglietto e stavo aspettando l'autobus per Los Angeles quando all'improvviso vidi la più tenera ragazzina messicana in pantaloni mai vista, che mi sfrecciava davanti. Era su uno di quegli autobus che si erano appena arrestati con gran soffio di freni e che stavano scaricando i passeggeri per una sosta. I seni le sporgevano dritti e schietti; i piccoli fianchi erano deliziosi; i capelli erano lunghi e di un nero scintillante; e i suoi occhi erano grandi cose blu con della timidezza dentro. Avrei voluto essere su quell'autobus. Un dolore mi pugnalò al cuore, come succede ogni volta che vedo una ragazza che amo e che se ne va nella direzione opposta alla mia, in questo grande grande mondo".
[“I had bought my ticket and was waiting for the LA bus when all of a sudden I saw the cutest little Mexican girl in slacks come cutting across my sight. She was in one of the buses that had just pulled in with a big sigh of airbreaks; it was discharging passengers for a rest stop. Her breasts stuck out straight and true; her little flanks looked delicious; her hair was long and lustrous black; and her eyes were great big blue things with timidities inside. I wished I was on her bus. A pain stabbed my heart, as it did every time I saw a girl I loved who was going the opposite direction in this too-big world”.]
In realtà al personaggio di On the road le cose poi vanno bene perché i due si ritroveranno casualmente in un autobus e ne nascerà una storia, ma la descrizione della pugnalata è intensa e comunque credo sia esattamente ciò che ciascuno di noi, uomo o donna, ha provato più volte dai 10-12 anni in poi.
ψ
Nel prossimo post riporterò la conversazione che ne è venuta fuori [essendo questa la traduzione di un mio post del 2010 che trovate qui, assieme alla discussione]. A mio parere il dialogo è umoristico e istruttivo, anche se non so se riuscirò a tradurlo bene.
Nel post precedente abbiamo parlato della difficoltà che uomini e donne hanno a comprendersi, il che può creare (e crea) non pochi problemi. Alla fine di novembre del 2018 Vitty, la blogger livornese, parlò di una sua amica che, sposata per la seconda volta, aveva deciso di comprare delle ‘fedi antitradimento’.
Vitty:
“Antitradimento? abbiamo chiesto curiose e meravigliate! Certo, ha
spiegato, delle fedi con inciso all’interno la scritta ‘I’m
married’, sono sposato/a, così se il maritino proverà a toglierla
per fare il cascamorto con qualcuna, la scritta resterà impressa sul
dito … almeno per una buona mezz’oretta.
Il primo matrimonio era naufragato per i continui tradimenti di lui. Per questo, all’inizio della loro nuova vita insieme, la nostra amica ha preferito mettere le mani avanti. […]
Trovo tutto
questo poco romantico e di nessun buono auspicio per il matrimonio!
[…]
Non si può iniziare una vita a due con questo pregiudizio, questa
mancanza di fiducia. […] Tanto è appurato, se uno vuol tradire
tradisce. Anello o non anello.
E voi, cosa ne pensate su questo anello antitradimento?”
ψ
Coulelavie: “A questo punto meglio un marcamento a fuoco (che il tatuaggio fa pure male) … Beh, anche se è vero amore, o a noi sembra che sia così, non è detto che sia eterno. Capisco che uno voglia impegnarsi per dire “per sempre”. però le cose delle volte cambiano. anche a distanza di appena pochi mesi dopo il matrimonio. Detto questo, posso dire che io, le poche donne che ho davvero amato, le amo anche oggi, che non le frequento più. ma forse proprio per questo il mio amore per loro è eterno. Non so dire se altrimenti, cioè se le avessi sposate, l’amore sarebbe durato …”.
vittynablog: “Bello il sentimento di amore che ancora provi per le donne che hai amato. Forse se tu ne avessi sposata almeno una, oggi saresti ancora con lei!!
E’
difficile dirlo finché non si prova. La convivenza non è sempre
idilliaca e spesso è proprio questa a far naufragare i matrimoni.
Comunque c’è solo un modo per sapere come andrà a finire…
provarci!!
coulelavie:
“Difatti
io sono per provare a vedere come vanno le cose. Solo
così a uno non rimangono i rimpianti. Gli
amori interrotti sono davvero terribili…”
Paola
C.:
“Cara Vitty, io penso che non esista nessun antidoto al tradimento…
Se un uomo o una donna vogliono tradire, lo fanno
con o senza anello al dito. L’anello al dito non costituisce più
un deterrente per l’amante di turno…anzi…conosco donne che sono
attratte dal legame matrimoniale altrui, e anche parecchio. Così
come conosco uomini che scelgono le prede proprio nel mazzo delle
anellate, così da non rischiare rapporti troppo impegnativi!”
vittynablog:
“Paola, la penso esattamente come te. Chi vuole tradire tradisce,
alla faccia degli anelli. Le ragazze di oggi poi non si fanno nessuno
scrupolo se l’avventura di una sera è o non è sposato.
Mi
meraviglia un po’ questa conoscente che già è passata da un
matrimonio fallito per i tradimenti di lui, nella sua illusione che
un anello che lascia il segno, possa fare da deterrente ad una
scappatella matrimoniale. Se non ha retto una promessa, figuriamoci
un anello!!!”
pacandrea: “Grazie della dritta Vitty, ma io non porto più la fede da quando sono rimasto appeso con l’anello ad un chiodo nel saltare una recinzione. La metto in ferie e la mia Lei me la infila quando andiamo in balera, lì il mio essere maschio prenderebbe volentieri la …. Queste coetanee e più giovani fanno uno smodato sfoggio di sessualità che mette sinceramente in crisi. Dura la vita per noi maschietti con gli attributi ancora vivi. Spero di non averti sconvolto.”
manofroma: “Fammi dare il mio pizzico di finta saggezza, Vitty: lo so, ti ho trascurato, ma ho finito i lavori di casa ieri 😭
Se la coppia non funziona per un motivo o per un altro si tradisce, lei o lui o entrambi. Se un amore finisce finisce. Oppure, ma questo è peggio, c’è chi si fa un / un’amante e se lo / se la tiene di nascosto e la coppia va avanti.
Se uno dei due continua ad amare, può sopportare, per amore. Non lo / la invidio. La carne è debole. Lo è veramente. E uomini e donne hanno un approccio diverso, che credo derivi dal DNA.
“Gli uomini – diceva 2 mesi fa una barista aretina, verace da sbellicare – approcciano la donna dalla cintola e poi vanno alla testa, le donne partono dalla testa e poi vanno alla cintola”.
Forse, quando si incontrano a metà, si sente un frishhhhhhhsssss. E’ il suono dell’amore, del colpo di fulmine, o altro.
Un abbraccio alla più cara blogger (dico a tutte così?) 😉 ”
Da tempo volevo scrivere un bel pezzo sull’attrazione, repulsione e incomprensione tra i sessi. Un problema eterno che forse, in questa fase di transizione verso non si sa che cosa, si è fatto più acceso (e frustrante).
Già in passato pubblicammo un articolo sull’Amore come ri-unione. Stamane, nella confusione delle cose da fare, e per non far troppo languire il blog, ho solo scorso frettolosamente il Web in cerca di spunti e mi sono trovato di fronte al solito carnevale dei fatti e delle idee:
Noi donne travisiamo sempre le parole degli uomini. Quando ci dicono “ti amo” noi ci facciamo dei viaggi pazzeschi. Capendo “ti amo” – egyzia, Twitter, tratto da qui.
Non che gli uomini ci capiscano di più. Disorientati, criminalizzati dal femminismo estremo, alcuni, leggo, abbracciano il Sexodus, con un numero crescente, dai 15 ai 30, che “si sta ritirando dalla società, rinunciando alle donne, al sesso e alle relazioni e rifugiandosi nella pornografia, nel feticismo, nella dipendenza da droghe o dai videogiochi e, in alcuni casi, in una subcultura maschile e sessista [lad culture nell’originale ]”.
Cito da Emanuela la quale, su Critica Scientifica di Enzo Pennetta, traduce a sua volta (ingenuamente? volutamente?) un pezzo dal famigerato Breitbart, l’orribile pubblicazione razzista e xenofoba che ha favorito l’elezione di Trump. Il che non inficia l’interesse del contenuto, naturalmente.
Qui sotto un filmato di Youtube che ho trovato sul Sexodus.
Maschi disorientati, dicevamo. Pare che a Verona, apprendo sempre da Emanuela, sia nata l’iniziativa dell’asilo per adulti bambini (maschi, soprattutto?). Su http://www.abnursery.it/chi-siamo/ leggo che gli AB, gli adulti bambini o adult babies, possono recarsi in strutture a Roma, Milano, Verona e Napoli e “rilassarsi e stare bene tra le braccia delle Maestre e tanti pupazzi e giocattoli”. Una community “che si sta piano piano facendo spazio nel mondo delle parafilie, portando con sé un messaggio sereno e contro ogni tipo di violenza, pornografia e pedofilia: un impegno il nostro che vuole diffondere l’idea di Adult Baby non legato alla malattia o alla depravazione.”
ψ
Lasciando perdere i pannoloni torniamo all’incomprensione, punto chiave. Innumerevoli gli articoli e dibattiti sul tema.
Chissà perché gli uomini sbagliati capitano tutti a me?
L’articolo prosegue: “Capirsi è la parola chiave, il vero segreto della longevità della coppia felice. E visto che, se aspettiamo che siano gli uomini (me compreso) a capire le donne allora buonanotte ai suonatori, quello che possiamo fare è cercare di spiegare senza mezzi termini alle donne come sono fatti questi benedetti uomini. Un uomo […] va preso così com’è. Non è il principe azzurro, non è il cavaliere senza macchia che vi capisce al primo sguardo. Anche quello più sveglio, non sarà mai la materializzazione di quell’ideale che ogni donna ha creato nella propria testa. Non ne sarà mai all’altezza.”
Ecc. ecc. ecc.
Le prossime volte, nel nostro piccolo angolo di blogosfera, partendo dal blog di Vitty, vedremo i dialoghi che si sono accesi sull’argomento.
I Greci e i Romani: un rapporto costante di scambi (e contrasti) fin dalle origini. Stavo leggendo giorni fa due libri sulla storia della musica romana e greca (vedi la nota; me li ha prestati Maria Luisa Migneco, carissima amica ed ex collega). Ciò che mi ha colpito parecchio è che in essi si parla di rapporti culturali e musicali tra i nostri antenati (Lazio e poi Roma) e i Greci addirittura fin dall’epoca micenea (dal 1600 a.C in poi!), come recenti scoperte archeologiche pare abbiano dimostrato.
Pertanto anche nella Roma assai arcaica e ancora prima nel Lazio tutte le forme poetiche di cui ci è giunta notizia – poesia sacrale, canti conviviali, testi drammatici, testi trionfali, lamentazioni funebri – venivano cantate con accompagnamento strumentale e ciò in modo del tutto analogo a quanto avveniva tra i Greci.
In seguito i rapporti tra i due popoli ovviamente si intensificarono: direttamente, attraverso i contatti sempre maggiori con l’Italia meridionale; indirettamente, con l’intermediazione degli Etruschi.
Questo dunque accadeva già nella Roma ai suoi esordi, tanto che i Greci spesso consideravano i Romani dei ‘Greci di periferia’, magari un po’ più rozzi di loro, ma barbari no, erano Greci.
[Mio nonno paterno, un industriale che tra i tanti interessi aveva anche l’etruscologia, faceva ogni tanto vedere alla moglie Carolina, pittrice, riproduzioni di vasi, statue o dipinti etruschi estasiandosi di fronte ad essi. Nonna invece, con cortesia piemontese, liquidava rapidamente la cosa:
“Ma sai Mario, sono solo imitazioni dell’arte greca in fondo, non ti pare?”
Il che, a prescindere se avesse ragione lui o lei, sottolineava il legame culturale forte tra Greci ed Etruschi]
Ora, se la musica romana e greca si assomigliavano, non tutto l’approccio greco alla musica piaceva ai Romani.
Epaminonda danzava e suonava il flauto
Le rovine di Tebe, polis greca della Beozia (credits)
Un uomo di prestigio (un generale, un politico, un avvocato ecc.) che facesse musica e che ballasse per i Romani era assolutamente inconcepibile.
Lo storico romano Cornelio Nepote, nella biografia dedicata al greco Epaminonda (un generale tebano immenso che tra le altre cose sbaragliò Sparta e liberò gli Iloti, popolazione schiavizzata dagli Spartani), scrive:
“Sono sicuro, Attico, che molti lettori, quando leggeranno il nome di chi insegnò la musica ad Epaminonda, e vedranno ricordate, tra le doti di Epaminonda, la grazia nel danzare o la perizia nel suonare il flauto (l’aulos, meglio, strumento ad ancia doppia) giudicheranno poco intonata al carattere dei grandi personaggi questa mia maniera di esporre […] Prima di scrivere d’Epaminonda penso di dover suggerire ai lettori di non giudicare col metro dei loro costumi le abitudini straniere e di non pensare che quanto a loro pare di scarso peso sia ritenuto tale anche presso tutte le altre nazioni. Sappiamo ad esempio che la musica, nel nostro costume, non si confà a un personaggio autorevole e che la danza è addirittura ritenuta una sconvenienza: tutte cose che tra i Greci sono invece ben accette e lodevoli”.
Anche Cicerone (nonché tantissimi altri Romani, Catone il Vecchioin primis) era dello stesso avviso. Per lui l’uomo che ballava doveva essere in preda ai fumi del vino o essere del tutto pazzo.
Cicerone all’inizio delle Tuscolane sottolinea alcune differenze tra Greci e Romani:
“Non già ch’io reputi impossibile imparare la filosofia in greco dai Greci [Cicerone stava, nell’opera, per spiegare e discutere in Latino ai Romani la filosofia greca, ndr], ma fu sempre una mia convinzione che i nostri connazionali nell’esplicare le loro attività inventrici furono più saggi dei Greci oppure nel desumere da quelli furono dei perfezionatori e ciò in ogni campo di cui ritennero degno occuparsi. Effettivamente i costumi e le istituzioni civili e l’amministrazione della casa e della famiglia da noi godono di maggior cura e maggior decoro, e lo Stato per opera dei nostri antenati poggia senza dubbio su istituzioni e leggi i migliori. E l’organizzazione militare? In essa i nostri compatrioti furono fortissimi sia per il valore sia ancor più per la disciplina. In quanto poi ai risultati ottenuti con le doti di natura e non con la cultura letteraria, né la Grecia né alcun’altra nazione può reggere il confronto con noi. Infatti chi ebbe mai tanta dignità, fermezza, forza d’animo, probità, lealtà, chi una virtù che tanto eccellesse in ogni campo, da poter essere paragonato con i nostri antenati? Nella cultura e in ogni genere letterario la Grecia ci era superiore, ma era facile vincere chi non contrastava. Giacché, se in Grecia è antichissimo il culto della poesia – Omero e Esiodo vissero prima della fondazione di Roma e Archiloco [il primo grande poeta lirico greco, ndr] visse al tempo di Romolo – noi abbiamo appreso più tardi l’arte poetica”.
ψ
Rapporto contrastato ma proficuo, dunque, quello tra Greci e Romani. Due popoli che, assieme al contributo giudaico-cristiano, ci hanno reso quelli che siamo oggi, nel bene e nel male.
Nota. Ecco i testi prestatimi da Maria Luisa Migneco: 1) Giampiero Tintori, La musica di Roma antica, Akademos 1996. 2) Storia della Musica (a cura della società italiana di musicologia). I, La musica nella cultura greca e romana, di Giovanni Comotti. Corriere della Sera 2018.
Lichanos è un ingegnere americano del New Jersey che lavorava a New York City e il cui ufficio era proprio sopra alle Torri Gemelle. Devinder è un indiano canadese, anche lui ingegnere, che ha la passione del cinema e gira cortometraggi. Oggi vive negli Stati Uniti. Chissà se ha realizzato i suoi sogni.
ψ
Lichanos. Grazie Devinder per le gentili parole. E sono molto felice che trovi le mie recensioni interessanti! Sono un ingegnere civile – senza connessioni con l’industria cinematografica – ma sono giunto alla mia professione studiando filosofia e storia dell’arte, quindi non sono come mi è stato detto un ingegnere “tipico”.
Un background di questo tipo non era raro tra gli ingegneri di 60 o 100 anni fa, ma oggi almeno negli Stati Uniti è inconsueto.
Devinder. So cosa vuoi dire. Penso sia inconsueto ovunque, oggi, anche considerando il fatto che nel passato tutta la scienza e l’ingegneria si fondavano sulla filosofia. Voglio dire, molti scienziati dei tempi passati erano originariamente dei filosofi. Sono però sicuro che tu sia un ottimo ingegnere civile, Lichanos.
Devo dirti che ho studiato ingegneria elettronica nei miei
anni universitari 🙂 ma non ho mai lavorato
come ingegnere.
Ad ogni modo, non vedo l’ora di leggere nei prossimi giorni molti
tuoi articoli passati, specie quelli sui film e sulla letteratura.
Man of Roma. Lichanos, sicuramente non sei un ingegnere ‘tipico’. Dev, non ti conosco abbastanza per pronunciarmi.
Stiamo uscendo fuori dall’argomento Kubrick, ed entrambi evocate il polymath, colui che sa molto di molte cose. Questo bel saggio The Last Days of the Polymath (dell’Economist) è una buona lettura (anche se west-centrica) e racconta come il polymtah stia scomparendo.
Noi Europei abbiamo sempre avuto l’impressione che questo predominio
della specializzazione sia dovuto all’America e alla sua grande influenza. Anche
se potrebbe essere semplicemente una necessità dovuta al corpus di conoscenze in
continua espansione.
Sembra chiaro, Dev, che per gli standard odierni molti
scienziati del passato erano dei polymath.
Polymath [da πολυμαθής, che sa molte cose, ndr] è un termine inglese. In Italia diciamo tuttologo [o polimata, ndr]. La polymathia è ancora un po’ radicata nei curricula dei paesi latini. Il “Liceo classico” in Italia educa i giovani ancora in questo modo, probabilmente perché l’ideale dell’uomo universale, dell’homo universalis, è stato sviluppato durante il Rinascimento italiano – un esempio mi piace pensare in cui il provincialismo potrebbe essere un vantaggio.
La recensione, su Amazon.com, era scritta da Jared Diamond, un americano, credo. Cavalli-Sforza è un italiano che ha principiato a Stanford una rivoluzione nella genetica umana dagli anni ’60 in poi e che ha dimostrato in pratica che le “razze” non esistono.
“Sarebbe una lieve esagerazione – sostiene Jared Diamond – affermare che Cavalli Sforza studi tutto su tutti, perché in realtà è “solo” interessato a ciò che geni, lingue, archeologia e cultura possono insegnarci sulla storia e sulle migrazioni di TUTTIdurante le ultime centinaia di migliaia di anni”.
Gli indiani dovrebbero essere dei polymath “spontanei”, Dev, in seguito al loro approccio olistico, anche se oggi con la velocità dello sviluppo economico dell’India sembrano in qualche modo obbligati a imitare gli occidentali e ad essere dei monomath. Ma ci sono così tanti polymath laggiù!
Busto di Cicerone ai Musei Capitolini (credits). Cicerone prese l’ideale dell’humanitas dal Circolo degli Scipioni e lo diffuse nei secoli a venire
Ma la polymathia come tendenza può essere anche pericolosa, spinge a girovagare, a dilettarsi, genera persone che non si fermano veramente su nulla (lo so bene), Giacomo Casanova (menzionato nel saggio citato) essendo un esempio di alto livello di ciò: bravo in matematica, in filosofia e teologia, ma mai veramente bravo.
Una metafora nel saggio dell’Economist che mi è piaciuta. Flirtare, essere promiscui, non va bene. È la vera poligamia, i numerosi matrimoni profondamente vissuti che fanno il vero polymath.
Sto divagando. Aggiungerò allora che Kubrick era un genio e aveva una tendenza alla polymathia, come attesta la straordinaria varietà dei suoi film – Spartacus, Lolita, Dr. Stranamore, 2001, Arancia Meccanica ecc.; e anche la sua passione per la musica, per la fotografia e il fatto che era anche un grande produttore e uomo di marketing: ho sentito alla radio che commercializzava da sé tutti i gadget dei suoi film, per esempio gli occhiali a forma di cuore di Sue Lyon.
Lichanos. Dev, MoR: non c’è bisogno di scusarsi se divagate qui! Se non qui, dove lasciar bighellonare la nostra mente e la nostra conversazione?
Adoro la parola tuttologo!! Meglio di polymath, così arido al mio orecchio. Per quanto riguarda la diffusione troppo tenue (thin) delle conoscenze, come di un dilettante [in italiano, ndr], in inglese abbiamo un detto: “Jack of all trades, master of none…” [Jack di tutti i mestieri, non ne padroneggia alcuno]. Tuttavia, la cultura dell’amateur e del dilettante [in italiano, ndr] mi attrae finché non scade nell’eccessiva superficialità.
Mi rammento di aver letto una volta una critica a Voltaire, non ricordo di chi, in cui si inveiva contro di lui: “L’uomo ha opinioni su tutto!” L’implicazione era che era frivolo e sentiva il bisogno di pronunciarsi su tutto, anche se con delle banalità. Le sue opere sterminate erano presentate come prova. Critica forse non del tutto campata in aria, ma Voltaire era abbastanza profondo per riscattarsi, forse.
Quanto alla professione di ingegnere, devo dire, 1 °: non ho mai capito i circuiti elettrici oltre il livello base. Capisco i sistemi idrici e tutti dicono che le due cose sono simili, ma non per me! 2 °: Mio padre, in pensione, è un ingegnere elettrico. Una volta mi ha portato davanti a un vecchio edificio industriale nel centro di Brooklyn, dove ha detto che lavorava in uno dei suoi primi lavori dopo la seconda guerra mondiale. Ci hanno costruito un computer lì e hanno poi dovuto abbattere un muro esterno per tirarlo fuori!
Negli anni precedenti alla Seconda Guerra Mondiale le
famiglie “patrizie” erano felici di mandare i figli alla scuola di
ingegneria. Ora diventano solo avvocati o MBA [Master in Business
Administration, negli USA una laurea a sé stante, ndr]. Era una professione che conferiva status.
Alcuni dicono che il predominio, dopo la seconda guerra mondiale, delle corporationssia riuscito a influenzare le istituzioni educative adattandole ai propri fini, le ha cioè spinte a sfornare in gran quantità tecnici belli e pronti per il mercato provocando così l’abbassamento dei salari. C’è qualcosa di vero. Nel mio tipo di ingegneria c’è ancora una sorta di invidia per medici e avvocati che erano visti come dei, e lo sono ancora, almeno in TV, vere e proprie celebrità presentate in maniera spesso enfatica. Tendono a guadagnare molto di più! D’altra parte, gli architetti, una professione decisamente di prestigio, qui, vengono pagati molto meno degli ingegneri e si scannano l’un l’altro per competere sul mercato. Penso che la soluzione a questo “problema”, economico e di status, sia rendere più difficile diventare ingegneri, richiedere un ulteriore addestramento nelle arti liberali oltre al curriculum tecnico. Ciò limiterebbe l’offerta, ma questa non è una posizione che raccoglie favore. Così, i lamenti per “il basso status” e le proteste degli ingegneri che dicono “nessuno si rende conto davvero cosa fanno gli ingegneri”, continuano.
“Un ingegnere? Ero cresciuto tra ingegneri e ricordavo benissimo gli ingegneri degli anni ’20: intelletti brillanti, dall’umorismo libero e gentile, dall’agilità e ampiezza di pensiero e la facilità con cui passavano da un campo ingegneristico all’altro, e persino dalla tecnologia alle questioni sociali e all’arte.
Inoltre essi impersonavano anche le buone maniere e la delicatezza del gusto; il loro eloquio era elegante, scorreva senza intoppi ed era privo di parole incolte; uno suonava uno strumento musicale, l’altro si cimentava con la pittura; e i loro visi mostravano sempre un’impronta spirituale”.
Devinder. MoR e Lichanos, wow, che discussione e scambio di idee!
@MoR: Grazie per aver condiviso le tue opinioni sui polymath. Sono d’accordo con te sul fatto che per la maggior parte delle persone cercare di essere dei polymath non è una buona idea. Voglio dire che una vita basta appena a fare una cosa bene, quindi dilettarsi in molte cose non è mai facile. Ma poi, le persone migliori, in un certo senso, sono sempre dei polymath. Hai ragione sul fatto che Kubrick fosse in un certo senso un polymath. Ogni suo film era così diverso dall’altro in termini di genere, trattamento, ecc. Ciò che lo rendeva speciale era il suo camaleontismo. Nessuno poteva davvero indovinare cosa aspettarsi da un suo film. Era anche un eccellente fotografo ed editore. Inoltre, come hai detto, ha avuto un grande interesse per il marketing dei suoi film, persino per la progettazione di promo e poster.
@Lichanos: bello leggere le tue opinioni. Mio padre è un ingegnere civile ed è stato in gamba. Beh, capire i circuiti non è mai stato facile neppure per me. Credo di averlo concluso, quando finii anni fa i miei studi di ingegneria, che la maggior parte della gente non è pronta a diventare ingegnere alla tenera età di 18 anni. In qualche modo portai a termine la laurea in tempo ma cercai di allontanarmi dal lato ingegneristico delle cose non appena ne ebbi l’opportunità. Non perché svalutassi l’ingegneria, anzi, pensavo che meritasse rispetto e disciplina, ma che non ero pronto per lei. Purtroppo la maggior parte delle scuole di ingegneria di tutto il mondo sfornano solo ingegneri da catena di montaggio, che ottengono magari lavori dignitosi e possono crearsi una famiglia, ma non producono certo menti indagatrici dalla forma mentis scientifica che siano davvero interessanti.
Come hai detto alla fine, anche quando mio padre si laureò
alla fine degli anni ’60 in India, la gente era orgogliosa dei loro diplomi di
laurea ingegneristica; anche più dei medici e persino dei funzionari di quei
tempi. Questo oggi non è più vero
Man of Roma. Dev e Lichanos: entrambi confermate che gli ingegneri stanno declinando socialmente. Ecchediamine! Mia figlia più piccola si sta laureando in ingegneria civile! 😉
Lichanos. @Dev: sugli ingegneri penso proprio tu abbia centrato il problema. A proposito, non sono andato all’università per laurearmi in ingegneria prima dell’età di 23 anni. Non avrei mai potuto a 18 anni, anche se avessi voluto!!
@MoR: Sono sicuro che tua figlia farà bene. Tutti vogliono che le cose siano costruite bene! Se lavora in cantiere il lavoro è molto richiesto, anche se è un lavoro assai impegnativo! Non lo sopporterei, ne sono sicuro. Guardo fuori dalla mia finestra il sito del World Trade Center [stavano costruendo il nuovo grattacielo in sostituzione delle Torri, ndr.] e penso:
“Come DIAVOLO riescono ad assemblare tutto rispettando esattamente i tempi?”. Mi verrebbe un esaurimento nervoso.
Un post di anni fa del Man of Roma diede vita a un’interessante conversazione sul significato della parola “cultura“. Devinder, Lichanos, Andreas Kluth, il Commentator, Paul Costopoulos, Sledpress, Rosaria, Zeusiswatching e altri vi parteciparono attivamente.
Essere “colti” – dibattemmo – che senso ha oggi? Perché nei paesi di lingua inglese l’uomo di cultura richiama alla mente “élite ammuffite e super abbienti che conversano nei salotti?” (Lichanos), mentre è una cosa ancora apprezzata in Italia, Francia o Germania (Man of Roma, Andreas Kluth)?
A prescindere da ogni possibile snobismo ed elitarismo europeo, l’essere “uomini di cultura” non è poi tanto male a mio parere se tale cultura o conoscenza può essere estesa il più possibile alla gran parte delle persone, che oggi non toccano un libro manco se gli spari e guardano solo le serie TV (che guardo anch’io) mentre potrebbero comprare una biblioteca che un tempo solo i re potevano permettersi, il che è un po’ un fallimento per me, della scuola e di tante altre cose, non perché credo che solo il libro ‘possa dare cultura’, ma insomma, se una ragazzina di 15 anni invece di guardare solo la TV si legge Anna Karenina io credo che un salto mentale lo faccia, un salto credo irreversibile.
Non molto tempo fa i marxisti, nella loro follia utopistica, desideravano l’uomo totalmente sviluppato per tutti, che Antonio Gramsci adattò con il suo concetto di Leonardo da Vinci di massa, che ho sempre trovato affascinante (A. Gramsci, Lettere, Einaudi, 1965, p. 654)
Fine del Leonardo moderno?
Il problema, oggi, è che un Leonardo moderno (di massa o non
di massa) è meno praticabile perché sappiamo molto di più in tutti i campi
dello scibile, e i campi stessi si sono addirittura moltiplicati.
Ne consegue che i grandi guru o maîtres à penser (gli influencer sono un’altra cosa) che forniscano ‘the big picture’ (il grande quadro di cui le persone hanno sete) stanno scomparendo, e l’enorme successo tra i millennials del mondo di un tuttologo come Yuval Noah Harari ne è, io credo, la riprova.
Il pensatore di Auguste Rodin (1840 – 1917). Immagine gratuita di Pixabay
Ok, si dirà, stanno scomparendo i maîtres à penser: cosa arriva al loro posto?
La specializzazione.
Un ortopedico non sa quasi nulla del fegato o del cuore, un matematico non capisce la differenza tra un neutrino e un neutrone, e un filosofo che potrebbe essere un’ancora nel marasma spesso non sa nulla di scienza, il che lo pone a mio avviso fuori gioco.
Sarà un caso che, con il declino sia delle religioni tradizionali (almeno in Occidente) sia di visioni laiche d’insieme, molti giovani siano preda di false speranze, di ideologie estreme o del vuoto, del nichilismo, e non sappiano più raccapezzarsi? La confusione, l’edonismo privo di senso (l’edonismo è Ok, ma ci vuole la zucca e anche l’etica), l’ignoranza che nutre le bufale e le bufale l’ignoranza ecc. fanno sì che molti cadano anche nelle mani di culti che diano un “senso” al tutto, vedi negli USA organizzazioni come Scientology e altre (Scientology pare sia in declino).
Sempre meno guru, sempre meno maestri che indichino la strada. La tendenza è davvero inevitabile?
Nel prossimo post vi tradurrò una bella conversazione (qui l’originale) a cui partecipai nel blog di Lichanos, Journey to Perplexity.
In essa Lichanos, Devinder ed io dibattemmo proprio sulla possibile fine del Polymath, colui che sa tanto di molti campi dello scibile, non però come flirt qua e là ma come amori profondi, passionali (e compresenti).
Il polymath è dunque un polyamorous, dedito al poliamore.
In parole nostrali, è un Dongiovanni della cultura. A tutti gli effetti 😉