Quinto brano dalle memorie di Carlo Calcagni, romano autentico nato quasi un secolo e mezzo fa. Tutti i brani di C. Calcagni postati finora possono essere letti nell’originale o in inglese.
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Le prime nate di casa sono state due femmine, la prima Agnese [che morirà giovanissima, MoR] e poi Elvira.
Agnese dicono che sia stata una vera bellezza: capelli biondi occhi neri. La vestivano come figlia prima molto bene e mio padre appena fu possibile la portava a passeggio al Gianicolo, al Pincio o in altri giardini di Roma. Ne era fierissimo e gradiva assai i commenti entusiastici di altre persone, balie, bambinaie e madri. Egli che è andato vestito sempre assai dimesso diceva:
“E’ una bella bambina … sfido! È figlia di un principe russo!”
“Ma come va che vi chiama papà?”
“Ah sì, per vezzo, perché io sono il maggiordomo vecchio di casa e mi vuol tanto bene”
Quando nacqui io, il terzo, mio padre giubilò tanto di avere finalmente il maschio che si mise a ballare, cantando da sé la musica di una mazurka.
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Elvira la grande, la decana, come statura in donna ricorda mio padre (…) è più seria e riguardosa (…) ma ha la stessa decisione di mio padre, anch’essa ha lo scatto pronto, la battuta facile, ma meno bizzarra e festosa di quella di mio padre (…) Essa è monaca nel più profondo e vero senso, una monaca popolare (…) Non è affatto scrupolosa e nel suo discorso fa spesso capolino il fare franco, spigliato e alquanto libero della trasteverina autentica e tradizionale.
Una volta a Roma a Trinità di Monti [vedi entrambe le foto] era stata direttrice delle scuole delle povere. Aveva saputo che i vetturini di piazza a Trinità di Monti all’uscita delle bambine davano loro molto fastidio con parole e con gesti. Elvira allora non curando il divieto della clausura mise fine allo sconcio. Uscì dalla porta insieme con le ragazze di scuola e quando queste si furono allontanate apostrofò i bottari in malo modo parlando in perfetto trasteverino.
Sensazione tra quegli uomini che sentivano non una monaca ma una che parlava proprio la loro lingua e molto a proposito. Lo sconcio finì e nessuno si azzardò più a dar fastidio alle ragazze.
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Sempre a Trinità di Monti [la chiesa sopra è vista dalla gradinata di Piazza di Spagna, MoR] e sempre come direttrice della scuola, Elvira ne fece un’altra delle sue. Io passando per via della Panetteria per caso intesi questo discorso tra madre e figlia, due popolane:
“Oggi la minestra l’hai mangiata?”
“Sì”
“E come mai che oggi sì e ieri no?”
“Perché la madre Calcagni l’ha fatta fare buona”
Io incuriosito lo chiesi a mia sorella e allora ella fu costretta a raccontarmi il fatto. Il fatto era questo. Ella si era accorta che da qualche giorno nessuna delle alunne mangiava più la minestra. La volle assaggiare e la dovette sputare: era immangiabile e non sapeva che di acqua sporca. Corre dalla cuciniera e fa la domanda:
“Ma mi dica, come fa lei la minestra?”
“Eh! Prendo una marmitta di acqua ben calda, ci metto dentro il sale e poi dei pezzi di pane duro”
“E niente altro?”
“No”
“Perché? Ma così si fa la bobba per i cani non la minestra per i cristiani!”
“Ma si tratta di poveri, devono contentarsi”
“Senta, lei deve fare la minestra e non deve discutere se è per i poveri o per i ricchi. Ci metta un po’ di odori e ci metta un po’ di grasso e vedrà allora che la minestra sarà mangiata da tutte le ragazze”.
Lo sconcio della minestra finì ma le azioni diciamo così di Elvira come monaca subordinata e rispettosa delle convenienze decaddero assai.
[Nella prossima puntata Elvira e Carlo, bambini, sono sorpresi da Papa Leone XIII – sul soglio pontifico dal 1878 al 1903 – mentre nascosti ne spiano il passsaggio nei giardini del Vaticano. Il padre, con pronta battuta, li salva dai pasticci]
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